Calliope e lo stregone

Thy feet in mire, thine head in murk,

    O man, how piteous thy plight,

The doubts that daunt, the hills that irk

    Thou hast not wit nor will to fight

How hope in heart, or worth in works?

    No star in sight!

 

Cos’è mai un Poeta nei confronti di un Dio

Cos’è un Poeta costretto ad autopubblicarsi, ignorato e vituperato dal mondo accademico, nei confronti di un qualsiasi Timorato Lavoratore?

Un reietto, un profanatore di biblioteche-cimitero, un accaparratore di centoni di antica saggezza (materia prima per la Grande Opera), un istrionico Gran Ciarlatano che svuota le tasche ai proseliti, un cacciatore di stelle…

Abituato a non cercare, il nostro corpo, si ascolta vivere solo sul confine del sogno, nel parossismo dell’orgasmo, o quando una paura primordiale ci assale (un maligno eczema prostatico che temiamo irreversibile, uno scricchiolio nella casa deserta…)

Anche per queste ultime trasgressioni del banale vegetare, si stanno approntando antidoti. Ma l’immaginazione, troppo a lungo modellata entro schemi angusti, necessita soltanto di un piccolo segnale per risvegliarsi in nuove dimensioni: è lo scatto che libera la visione, la follia o la morte, il segreto a cui ogni Tradizione riserva un nome, la fiamma della vera ispirazione.

 

Edward Alexander Crowley inizia la sua trasformazione nella Grande Bestia proprio quando, poeta frustrato dalla pochezza di riconoscimenti  – perfino il Praz esegeta di “la morte, la carne e il diavolo” lo bandirà dalla buona letteratura – concepisce il modo per prendersi una ampia rivincita sui bacchettoni di Oxford e Cambridge. Il sistema magico di Crowley, perverso e rigoroso ad un tempo, è come il cosmo al di là dello specchio, un capovolgimento puntiglioso dell’etica cristiana più bigotta, un insulto consapevole alla pia educazione ricevuta. In questo universo rivoltato, il soprannaturale si cela nelle pratiche più vili e oscene, la volgarità nel consacrato (De Sade, non chiamato in causa, annuisce). Aleister Crowley, come ci appare vividamente nella biografia del Symonds ancora più che nelle romanzate “Confessions”, è una divinità pagana “per vocazione” se non per nascita. I colpi di coda di un essere che abita il profondo (Il “Demone Crowley”) si fanno sentire, ma la ricerca è in primo luogo estetica: è lo stimolo lirico onnipresente a farsi volontà di spiegare e disciplinare il mondo.

La dottrina Thelemica non è altro allora che una iper-fiction, uno sforzo creativo che va ben oltre i limiti segnati e gli effetti della “letteratura” (o della filosofia), una sintesi poderosa di tradizione esoterica e ispirazione personale scomposta in centinaia di scritti la cui autorevolezza, come in una novella di Borges, si basa su inesauribili possibilità combinatorie. La Rivelazione del Cairo è un espediente narrativo troppo ingegnoso per non rimandare ad uno schema preordinato. Il “Libro della Legge” è un esempio di scrittura automatica visionaria. Del resto sono proprio poeti come Blake o Arthur Machen a conferire nuove forme compiute agli archetipi delle scienze occulte, inconsciamente e quindi in vero senso magico. Ed è William Butler Yeats a redigere i rituali della Golden Dawn e a succedere a MacGregor Mathers nella guida dell’ordine, all’epoca del suo maggior splendore.

L’iper-fiction Crowleiana, che sarà modello per altri sistemi di “narrazione” a più dimensioni (la Chiesa della Scientologia del fallito scrittore di fantascienza Ron Hubbard, la Famiglia del “cantautore” Charles Manson, il Temple ov Psychich Youth dell’ex bodyartist Genesis P-Orridge) anela a sconfiggere le barriere del linguaggio: la parola è il Chaos, le più argute argomentazioni non meno condizionanti di un fascio di muscoli, finiscono col mordersi la cosa in un incantatorio quanto futile gioco di specchi. Ecco dunque che Crowley, per il quale il virus della letteratura si psicosomatizza in vertigini e febbri di grandezza, ricorre a scritture cifrate e diviene ossessionato dalla precisione matematica della Cabala: una rete complessa di numeri e simboli in diretto dialogo con la psiche (una tale impervia battaglia magica contro il linguaggio ci rimanda inaspettatamente all’impenetrabile “Finnengans Wake” e agli esperimenti di William S. Burroughs).

Scrittore libertino, pittore di incubi e scalatore provetto, Crowley (che non è mai tanto generoso con le discipline nelle quali non eccelle) non conferisce alla musica particolari qualità euristiche. All’interno del sistema Thelemico essa è perlopiù sottofondo atmosferico per le estenuanti cerimonie quotidiane, celebrate con rito etero o omosessuale, del nono e undicesimo grado: il violino della Donna Scarlatta o una qualsiasi composizione alla moda sono sufficienti come pretesto per librarsi in totale raptus tersicoreo (pensando alla mole imponente della Bestia, non possiamo trattenere il sorriso). Nelle incisioni pervenuteci Crowley si limita a recitare, con intonazione quasi femminea, su una partitura di clavicembalo alquanto dozzinale. È quindi con una certa curiosità che scopriamo To Mega Therion, solforoso eccentrico rimosso dalle storie ufficiali, come profeta superstar di certa scapigliatura after-industrial, nello stesso ruolo di illuminato Gran Pervertito che i Situazionisti sessantottini riservarono a William Reich.

Non eccitatevi troppo all’idea, la ricerca appare più che mai confusa, il satanismo di bassa lega fa l’occhiolino alla Logica materialistica dell’industria culturale, fagocitatrice di mode e anti-mode.  La mancanza di “successo magico” di gran parte degli apprendisti stregoni t(h)elematici è proporzionale alla mancanza di vera comprensione poetica e di umile noviziato.

I progetti meta-musicali che si ispirano più o meno liberamente a Crowley (Psychic TV, Current 93, Coil, ma anche gruppi di impostazione più tradizionale quali Heretix, Chakra, The Only Ones, The Job) pur emancipandosi in partenza dai dogmi e dai sistemi gerarchici – le trappole che lo stesso Crowley aveva fatto saltare dall’interno, piegandole sardonicamente ai propri scopi – peccano di ingenuità lasciandosi affascinare dal superficiale gioco delle citazioni.

Raccolte di suoni realizzate con crani e tibie, la voce della Bestia nascosta nel vinile, la parafrasi di formule e invocazioni, i rituali sanguinolenti, testimoniano di un “gioco” intellettuale trasposto visceralmente in nuovi estremi comportamenti devianti: la gioventù “psichica” spartisce ambiguamente i poteri mediatici dell’Uomo del Nuovo Eone con le attitudini psicopatiche di un Zodiac Killer. Sono ovviamente lontane le pagliacciate misteriche dell’Heavy Metal e del Gothic Punk, ma perché il “movimento” non si isterilisca consumata la carta degli in-jokes e del sensazionalismo, sono necessarie nuove e originali “visioni” esterne come la “luce bianca, calore bianco” dei Velvet Underground.

Quando le stelle del mattino canteranno in coro, il mondo contenuto in un granello di polvere sparirà in un battere di ciglia.

Cos’è mai un Dio nei confronti di un Poeta?

 

All’uomo vengo, il numero di

Un uomo il mio numero, Leone di Luce;

Io sono la Bestia la cui Legge è Amore.

    Amore soggetto a volontà, il regal diritto.

    Guarda dentro, e non al di sopra,

Una stella in vista!