Adulteri o Gnostici?

Ekklesia Gnostica Antitacta

Le proposizioni del decalogo giudaico avrebbero avuto l’intento di far ricorso alla trascendenza al fine di esercitare la massima influenza sui comportamenti umani e, reprimendo le pulsioni, determinare il consolidamento, se non proprio la formazione, di vincoli comunitari.

Il progetto dei patriarchi era quello di costituire un bell’esempio da porre in atto per dimostrare la bontà del messaggio. Elevare quest’ultimo a verità equivalse a distinguere e proclamare chi lo avesse applicato “popolo eletto”, il quale stipulava con se stesso un patto che ne avrebbe garantito la missione nella storia. La professione di fede ebraica (“Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno”) si interpreta: siamo uniti, abbiamo un unico dio e siamo i suoi prediletti!

Le tavole della Legge mosaica, usualmente, vengono rappresentate in forma duplice, per sottolineare il legame esistente tra le due parti del Decalogo, essendo la prima cinquina, l’enunciazione morale, il riflesso dell’altra, ripercussione a livello comunitario.

Dai primi cinque comandamenti, di natura etico-spirituale, sarebbero derivati, concatenati ai precedenti,  i successivi, aventi scopi prettamente sociali. L’adulterio, quindi, è un delitto commesso contro la fede nel monoteismo, poiché quello che si trova alla propria portata dovrebbe venire riconosciuto bastevole a non incentivare ulteriori ricerche illusorie di completamento e di realizzazione?

 

Unicità monoteistica, coniugale, di vita, di possesso

La collocazione tra omicidio (sesto comandamento) e furto (ottavo), ne accentua il valore di trasgressione nei confronti dell’unicità (“Io sono il Signore Dio tuo”, I) della relazione spirituale (unicità monoteistica, coniugale, di vita, di possesso), nonché di vanificazione dei rapporti che vanno sacralizzati proprio all’interno di quella medesima relazione. Il “Non nominare il nome di Dio invano” (III) si ripropone nel non compiere atti carnali al di fuori del matrimonio, non disperdere senza scopo proliferativo il seme della generazione, “Non desiderare la roba (e la donna) d’altri” (X), e nel pieno rispetto della coppia che ha perpetuato la specie (“Onora il padre e la madre”, V).

 

Non desiderare la “cosa” d’altri

Commentatori, come R. Saadia Gaon, si sono rivolti agli uomini ricordando loro che il divieto imposto dal Decalogo non riguarda semplicisticamente solo l’atto, ma pure il desiderio, come ribadisce il decimo comandamento. La lettura del Levitico, contenente le disposizioni legali in materia, a seconda del sesso, traccia, una netta distinzione tra i due generi di adulteri; la trasgressione maschile e quella femminile subiscono delle ripercussioni assai diverse, venendo la prima più assimilata al furto (non rubare e non desiderare la “cosa” d’altri), la seconda all’omicidio (“Non avrai altro Dio al di fuori di me” II, poiché “Io sono il Signore Dio tuo”).

Del resto la maggior tolleranza nei confronti della poligamia troverebbe delle giustificazioni biologiche nella maggiore ricchezza di spermatozoi, con conseguente esuberanza riproduttiva maschile. L’analisi antropologica della Legge giudaica evidenzia come sia dichiaratamente considerato più grave dunque l’adulterio commesso con donna sposata, appunto la “donna d’altri”.

 

Mamzer

Il frutto di un eventuale concepimento verrebbe etichettato “mamzer” (bastardo), e condannato all’emarginazione. “Il Signore… conserva il suo favore per mille generazioni… ma castiga la colpa dei padri nei figli…” (Esodo 34:7). Nell’assoluta certezza che le nuove generazioni siano destinate a costituire il maggior investimento dei genitori, il legame tra la prole e la responsabilità delle persone diviene la massima prospettiva futura, se non palesemente l’unica.

La sperequazione sarebbe determinata dalla differente condivisione della filiazione. “Mater semper certa est, pater nunquam”. Il presunto padre non può concretamente avere il controllo della trasmissione dei suoi geni, se non avvalendosi di disposizioni specifiche a riguardo. E tali, in un certo qual senso, da confiscare la prole. Tali leggi vengono formulate a garanzia dell’identità genetica. Logica risulta, allora, la proibizione dell’adulterio, alla stessa stregua di come il tabù dell’incesto appare funzionale, per altri versi al riconoscimento di paternità ed allo scambio delle donne tra gli uomini.

 

Mancata accettazione della morte

Queste donne da scambiare sarebbero originariamente le figlie che esprimono in tutta la loro freschezza la differenza generazionale. Una presa di coscienza rispetto  a questa differenza di età deriva dall’inevitabile constatazione della vettorializzazione del tempo, il suo procedere in uno ed un solo senso. L’incesto contravviene così ad una primordiale ed inesorabile legge di natura, che non può consentire di risalire nella direzione opposta a quella del fisiologico decadimento e disfacimento degli esseri. Analoga mancanza di accettazione  della morte e della realtà, con l’illusorio annullamento del tempo trascorso, si riproporrebbe, in proporzioni variabili, nell’adulterio che rinnova quella gioiosa esperienza augurale, già vissuta con il primo partner.

 

Rispetto per l’Altro

Un po’ tutte queste prescrizioni accentuano il carattere pulsionale delle proscrizioni che le hanno determinate ed assimilano le repressioni ad un meccanismo sociale imposto dai tabù e dal rispetto per l’Altro. “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Levitico 19:18), o “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, detta una norma di socialità e di libertà sulla quale impostare i rapporti tra gli individui.

Il divieto di guardare le nudità dei genitori (Levitico 19:18) è posto a difesa della fragilità degli individui e ad impedire la trasformazione dell’alterità, conservandone l’onorabilità sancita dal quinto comandamento. L’osservazione delle nudità parentali si configurerebbe già, quasi, come incesto, definito come “fare dell’identico con se stesso”, in una irriguardosa esclusione dell’Altro, diverso da sé e dai propri antenati. Ma il fare a meno della realtà e del concorso dell’Altro si concretizzerebbe ancor di più nella masturbazione.

Dalla negazione dell’Altro alla strumentalizzazione della propria esclusiva soddisfazione il passo è davvero breve.

La generica proibizione di “fare dell’identico con se stesso” ha la necessità di essere codificata in legge, come ha osservato Frazer, proprio per una naturale tendenza a disattenderla , che si tratti di masturbazione o di incesto. Ci si può illudere di non contravvenire ai tabù, magari solo perché, letteralmente, nella equivalenza di una trasgressione ideale, simbolica, non vi è passaggio all’atto. Le rappresentazioni delle pulsioni vanno comunque individuate per poter essere meglio gestite nell’interesse precipuo di quel contesto all’interno del quale si scambiano relazioni e si programma il futuro.

 

Kol Nidré

  1. Reik ha analizzato il rito religioso di apertura della cerimonia del Kippur, o grande perdono. Prendendo implicitamente atto della difficoltà del controllo pulsionale, dell’inutilità delle promesse e degli impegni assunti, é il riconoscimento della fallibilità dell’essere mortale (Kol Nidré) ad aprire alla pubblica confessione delle umane debolezze ed alla conseguente assoluzione dei peccati.

L’infedeltà insiste sul registro pulsionale di chi spera di trarne, a mezzo della prima, una eventuale possibile soluzione ai problemi suscitati dal secondo. Aldo Naouri, in “Adulteri” (Codice, Torino 2007) conclude che, attraverso un meccanismo di rimozione, il tradimento potrebbe costituire una probabile risposta, forse non giusta, e di tipo squisitamente erotico, ad una domanda ammissibile, anche se verosimilmente di altra natura.

 

Un problema di libero arbitrio?

La polemica, a proposito dell’esercizio della libera volontà, è molto antica, Se ne ha un calzante esempio nell’invettiva di Clemente alessandrino contro gli Antitactici. Questi gnostici sembravano, più che altro, coagulare intorno a sé un appellativo collettivo attribuibile a una varietà di schegge di gruppi proto-cristiani. Clemente sottopone al suo esame, e fors’anche a mo’ d’esempio, le idee professate solo da due di questi gruppi tra loro apparentemente agli antipodi, in quanto definiti, gli uni, licenziosi e  gli altri ascetici. Si tratta di un’analisi, quella di Clemente, che oggi ci appare fin troppo breve e, forse proprio per questo, e per molti versi, anche oscura. Tra i primi, i cosiddetti licenziosi, qualcuno predicava uno stile di vita che non faceva alcuna distinzione tra ciò che comunemente viene considerato giusto o sbagliato, mentre gli altri sostenevano l’ascetismo, anche al di fuori di qualsiasi contesto religioso e di qualsiasi disputa spirituale.

 

Licenziosi o ascetici?

In risposta al primo gruppo, che evidentemente enfatizzava una sorta di libertà di vita, in conflitto critico con l’autodisciplina cristiana, Clemente sottolinea che, se ciò fosse stato da considerare legittimo, avrebbe dovuto equivalere innanzitutto alla scelta di vita che comporta l’ascetismo.

Apparentemente gli Antitacti predicavano l’impassibilità dell’eletto di fronte alle avversità, ai rischi ed alle tentazioni della vita, di conseguenza accordavano all’eletto il privilegio di vivere secondo le sue esclusive scelte personali. Clemente ovviamente risponde che se fosse possibile poter garantire a qualcuno di scegliere il tipo di vita che più gli aggrada, questo stesso tipo di vita che verrebbe scelto dal privilegiato non potrebbe che corrispondere all’ascetismo spirituale. Se non esistesse modo di vivere che non comportasse pericoli per l’eletto, come sostengono gli Antitacti, chiaramente ciò sarebbe particolarmente ancor più vero nel caso in cui la scelta fosse proprio quella virtuosa di vivere in maniera autodisciplinata. Una persona, proprio in virtù del fatto di essersi appellata al diritto che gli è stato concesso alla libertà assoluta, potrebbe finalmente scegliere di vivere una vita virtuosa, e solo in questo modo verrebbe ritenuto degno di elogio.

 

Libertà dalla responsabilità

Un altro proposito degli Antitacti sembra fosse stato il manifesto desiderio  di sgombrare l’umanità dalla paura per la punizione dei peccati commessi. Perché chi sceglie di ignorare la paura è altrettanto libero di chi abbraccia l’autodisciplina. Per di più, chi liberamente sceglie di vivere in maniera disciplinata si ritrova in uno stato ancora migliore, poiché mai avvertirà, in nessuna occasione, la paura per quel che ha fatto. Quanti vengono attratti dai piaceri si sentono gratificati nel corpo, mentre gli asceti hanno liberato la loro anima dalla schiavitù delle passioni, facendo in tal modo assumere sul corpo il predominio da parte dell’anima. I chiamati all’esercizio della libertà non necessariamente devono fare uso di questa prerogativa e compiere ciò che appartiene alla sfera  dei più bassi istinti.

Certo Clemente non poteva essere disposto ad ammettere come plausibile per l’umanità, nell’esercizio della libertà dei singoli individui, un consenso ad agire a briglie sciolte, così come veniva proposto dagli Antitacti. Per l’Alessandrino la vita cristiana era assolutamente incompatibile con il diritto alla completa libertà nei comportamenti. Se lui prudentemente non poteva accettare tutto ciò come ammissibile, da un lato, era interessato a sottolineare l’importanza di un codice etico, e, dall’altro, voleva che si giungesse ad una definizione, valida per l’intera società, di cosa in generale dovesse essere inteso, compreso e circoscritto, in seno forse ad una dubbia maniera di vivere, che però potesse costituire, dal punto di vista morale, oggetto di discutibile indifferenza. Gli Antitacti trovavano, perciò, le maggiori resistenze nell’avvertito pericolo di poter condurre gli sprovveduti verso la confusione, costituita nominalmente dal lasciare aperta la possibilità ad una vita che potesse rivelarsi spregiudicata.

Gli Antitacti asserivano sostanzialmente che il Signore del Sabbath avesse garantito la libertà dalla responsabilità. Eppure non avrebbero ereditato il diritto che consente loro di infrangere i comandamenti della divinità giudaica sol perché ritenevano di essere i prediletti di quest’ultima, tutt’altro!

 

In contrasto con il Demiurgo

Gli Antitacti credevano che ad essere buono e giusto fosse il vero Dio, ma che qualcuna delle sue creature avesse volutamente inserito il male con l’esplicito proposito di far in modo che gli uomini lo seguissero per porsi in netto contrasto con il Dio buono. Dovere umano sarebbe allora stato quello di contrastare l’autore/creatore del male, in modo che il vero Dio potesse vendicarsi del suo nemico.

Antitacti, dal greco: sono contrario, “antitassesthai”, per Clemente alessandrino (Strom. III, 526), oppure antinomiani, licenziosi, piuttosto che seguaci di un singolo distinto maestro, a cui poter ricondurre la terminologia. In quest’ultimo caso, se proprio li si volesse assimilare ai seguaci di qualche particolare maestro, invece che ad un altro, potrebbero, per molti versi, ma soprattutto per la peculiarità di rivoltarsi contro il Demiurgo, essere accostati ai Marcioniti.

Avrebbero avuto in odio tutto quanto avesse avuto a che vedere con le cose ordinarie, cosicché ad esempio nutrivano una totale indifferenza per quanto concerne la corporeità; per quanto riguarda la regolamentazione della vita degli uomini dediti alla spiritualità, ritenevano assolutamente non valide le prescrizioni della morale e delle leggi giudaiche, attribuite in toto al Demiurgo; consideravano, inoltre, i contenuti veterotestamentari corrotti sin dalle loro fonti, ciononostante non sembra venissero accusati esplicitamente di licenziosità.

 

Interruzione del ciclo delle nascite

Con molta severità gli Antitacti sono stati designati quali gli eretici più meritevoli di riprovazione dell’intera chiesa cristiana, ma, come è plausibilmente avvenuto per altre sette, anche nel loro caso molto probabilmente le accuse potevano, alla fin fine, risultare del tutto infondate. L’unica caratteristica che sembra possa averli distinti, quale branca a sé stante dello gnosticismo, sarebbe la professione di un’assoluta dispensa dall’osservanza del settimo comandamento. La qual cosa avrebbe potuto assumere i contorni di una sorta di “apertura” al sacramento della “comunione” mistica. Ma, forse, in ragione della loro più frequentemente ripetuta affermazione: “diabolum fecisse marem et foeminam et displicere illud crescite et multiplicamini”, il rifiuto del matrimonio, da parte dell’eletto,  era da interpretare come una voluta astensione dal propagare una razza appartenente alle tenebre ed all’imperfezione. Quale contrappeso per non propagare il male occorre, allora, opporgli l’interruzione del ciclo delle nascite.

 

Ierace G.M.S.: “Magia sessuale”, Armenia, Milano, 1982

Maier Corinne: “No kid, quaranta ragioni per non avere figli”, Bompiani, Milano 2008

Naouri Aldo: “Adulteri“, Codice, Torino 2007